Prova e riprova, dopo 40 sconfitte, un risultato è arrivato. E, alla fine, quel primo punto del San Marino in un torneo internazionale ha pure fatto accendere qualche timido riflettore su una competizione lontana anni luce da podi e graduatorie. La cenerentola di tutte le qualificazioni che raccoglie, tra stadi poco più che amatoriali e rovinose spedizioni europee, le aspirazioni di chi può solo gareggiare per ottenere una promozione di livello.
Sì, perché la UEFA Nations League include tutte le sue 55 federazioni calcistiche affiliate, organizzate in apposite sezioni. Perciò insieme alla Lega A, altrimenti definibile “Girone della Morte” con Italia, Germania, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Francia, e alla B, dove convergono le aspettative senza frontiere di Norvegia, Irlanda del Nord e Repubblica Ceca, esiste una C che, a eccezione del Lussemburgo, concentra un alto tasso di balcanicità, e poi, ancora più in basso nella fredda burocrazia del ranking, ecco le formazioni dell’incredibile Lega D. Un raggruppamento quasi mitologico che comprende Fær Øer, Lettonia, Malta, San Marino, Andorra, Gibilterra e Liechtenstein.
In bilico tra orgoglio e pregiudizio, nel girone dantesco dei mini Stati europei si nasconde in realtà una vetrina internazionale dove l’importante è partecipare per mostrare al meglio, o al peggio a volte, il proprio talento. Se non è difficile strappare una potenziale pacca sulle spalle di incoraggiamento per queste compagini di sportivi stretti tra confini e abitanti troppo ridotti per esprimere un calcio che possa davvero fare la differenza, è pur vero che uno spirito nobile titaneggia anche nel più piccolo degli uomini. San Marino agganciando il pareggio con il Principato del Liechtenstein, dopo aver subito negli anni disfatte che per tutti avrebbero segnato l’inizio della fine, ha messo a segno la sua magia. Forse l’angoscia del palo sul calcio di rigore o l’ulcera da contestazione arbitrale sono ancora pura fantasia sapendo di quel 13 a 0 imposto dalla Germania – che invero non si è mai data grossi pensieri per gli avversari, vedere per credere il clamoroso 7-1 col Brasile dei Mondiali 2014 – eppure una semplice rete equivale a un giorno di festa per delle squadre che, nonostante tutto, sono lì alla conquista del proprio posto al sole. O in un altro girone.
Accade infatti che la formazione delle Isole Fær Øer, da quelle parti nota come Føroyska fótbóltsmanslandsliðið, forgiata a mano aperta dal vento e dalla furia vichinga sia riuscita nel corso degli eventi a scassare forte le reni alla Grecia, con la sua modesta comitiva di falegnami e pescatori.
Malgrado le classifiche, queste eterne wannabe del calcio moderno si sono rivelate in grado di superare col fiato grosso le regole del razionalismo, ricordando a qualche tifoso un po’ disilluso che si deve contare sulla propria rappresentativa, a prescindere dai successi sul campo. Non si spiegherebbe diversamente la perseveranza del trentasettene Roy Alan Chipolina alla guida di Gibilterra, capace non solo di segnare il primo gol ufficiale di una nazionale costituita in gran parte da giocatori di club non professionistici, ma anche di vincere ben 6 partite. Un’impresa per niente semplice che, tra le file della Lega, ha trasmesso le sue vibrazioni positive a figure cariche di audacia e spleen adolescenziale come Sølvi Vatnhamar, Vitālijs Jagodinskis, Henry Bonello o Ricard Fernández.
Siamo nel campo della fantascienza più estrema parlando di un trionfo in Europa, tanto per Malta che per Andorra e le altre. Quando però i punti sono merce rara, l’entusiasmo può prendere traiettorie più imprevedibili di quanto questi rettangoli di gioco dimenticati abbiano mai preteso. In palio, oltre a qualche romantica vittoria, c’è la voglia di rompere gli schemi per inseguire a testa bassa qualche incoraggiante segnale di competitività.
Così da Torshavn, come da La Valletta e da Riga, le prodezze proposte nelle partite della Lega D – e anche dalla C, diciamoci la verità – conservano quella magia che i fantamilioni che girano intorno all’industria del football non possono di certo comprare: tenacia, grinta e una passione che non conosce gironi, titoli o piazzamenti internazionali.
Come si impara fin da ragazzini nei campetti improvvisati, bisogna saper dare il massimo anche quando si parte sempre in svantaggio, perché in fondo il pallone è di tutti quelli che lo amano.
(Credits: Getty Images)