MIKE HAILWOOD, IL PILOTA CON IL DESTINO IN AGGUATO

Submitted by greta.torri on Tue, 03/23/2021 - 15:12
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Marco Di Milia
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Beffarda la sorte di chi sulla pista ha sempre dovuto fare i conti con le fatalità in ogni competizione disputata. Mike Hailwood in sella ai suoi bolidi, a due o anche a quattro ruote, ha ingaggiato sfide epiche su circuiti ai quattro angoli del pianeta, tracciando insieme al rivale di sempre Giacomo Agostini la grande avventura del motociclismo sportivo.

Aveva all’attivo 76 vittorie e ben 9 titoli mondiali, il centauro britannico, con un nome legato per sempre al Tourist Throphy di Man, dove ha trionfato 14 volte sullo Snaefell Mountain, considerato tra i più spettacolari e pericolosi tracciati internazionali. Ancora, fu proprio Hailwood, mai troppo pago di motori, che in Formula 1, al Gran Premio del Sudafrica, nel 1973 riuscì a sfuggire ancora a quella morte che aveva sempre alle costole. Entrato in collisione con la vettura di Cley Regazzoni, i due finirono presto fuori pista coi i rispettivi veicoli in fiamme. Mike riuscì però a liberarsi dalle lamiere incendiate e si precipitò verso il pilota ticinese, rimasto incosciente dallo schianto e imprigionato dalle cinture di sicurezza, riuscendo a portarlo in salvo. Un gesto di generosità e coraggio che gli valse non solo il plauso e la riconoscenza di tutto il mondo, ma anche la medaglia di Re Giorgio, una delle più importanti decorazioni al valore civile del Regno Unito.

Moto, auto e una passione per la velocità che non è mai riuscito a mettere da parte per tutta la vita, dividendosi tra classe 250, 350, 500, Lotus, Honda, Ducati, McLaren, Surtees, 24 Ore di Le Mans, Formula 5000 e naturalmente una lunga sequela di motomondiali. 

Lui che aveva imparato a dare gas in un campo di pochi acri nei pressi della propria abitazione di famiglia, in cui, a causa del continuo girare in tondo, tracciò una pista ovale e che, a 17 anni, per ottenere la licenza di pilota dichiarò di essere già maggiorenne, poteva però pensare che il destino fosse in agguato ancora una volta, lontano dalle corse su una tranquilla strada appena fuori città. Al volante della sua Rover stava andando a prendere, da buon inglese, del fish & chips per cena insieme ai figli. Dietro una curva cieca però un camion di grossa stazza era impegnato in un’azzardata inversione a U che Mike non poté evitare. La figlia Michelle perse la vita sul colpo, mentre il 9 volte campione del mondo, estratto dall’auto accartocciata in condizioni disperate, da quell’impatto non si sveglierà mai più, morendo due giorni dopo nell’Ospedale di Birmingham. Al conducente del mezzo fu inflitta una multa di 200 sterline senza conseguenze penali, mentre solo il piccolo David riuscì a sfuggire a quella terribile pareggiamento di conti che la nera signora aveva in sospeso da troppo tempo con Hailwood.

Eppure, a distanza di quarant’anni da quello schianto fatale, la grande epopea di un uomo nato per correre è ancora oggi una delle pagine più limpide delle corse motociclistiche. Quelle che raccontano di un professionista unico con i motori e che ora, per “Mike The Bike”, assumono i contorni della leggenda.

(Credits: Getty Images)

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