GIACOMO AGOSTINI, ISTINTO E VELOCITÀ

Submitted by greta.torri on Sat, 03/27/2021 - 09:15
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Marco Di Milia
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Basterebbero i 15 titoli mondiali ottenuti in 13 stagioni disputate per raccontare il mito di Giacomo Agostini. Una carriera a pieni giri che conta 123 Gran Premi chiusi al primo posto, 163 presenze sul podio in 190 gare, nonché la formidabile cifra di 8 titoli guadagnati in classe 500 e 7 in 350.


Un pilota unico nel suo genere che, da ragazzino cresciuto nella provincia lombarda, sognava di guidare i camion dell’azienda di trasporti di famiglia e diventato, invece, il centauro più vincente della storia, in un tempo in cui i motori non perdonavano alcun errore. Sì, perché Agostini ha gareggiato quasi sempre con la morte a rotta di collo, cercando di lasciarsela indietro a ogni sgasata. Eppure, di incidenti tragici ne ha visti tanti nella sua lunga avventura in sella, cominciata subito a marce ingranate con una Coppa d’oro Shell a soli 22 anni. Ha perso presto i suoi avversari più ostici, in un colpo solo, il finlandese Jarno Saarineen e il più spavaldo Renzo Pasolini, con il quale riaccese, all’epica delle moto, i duelli altrettanto esaltanti su bicicletta tra Coppi e Bartali.


Proprio la rivalità con lo sfortunato Pasolini aveva infatti reso quel dualismo competitivo che gara dopo gara divideva gli appassionati uno scontro tra primi della classe, tanto eroici quanto differenti per temperamento. Malgrado tutto, Giacomo Agostini, detto Mino, con la sua MV Agusta è riuscito a mettere in scia anche le tragedie che facevano a pezzi il suo mondo – come il Tourist Trophy, in cui pure ha vinto 10 volte, sull’Isola di Mann, Mecca del motociclismo, ma anche folle e pericoloso al punto da portarsi via 250 piloti – per crescere e capire, gareggiando per passione e per mestiere quale era lo scotto, terribile, insito nelle corse. Alla fine ha vinto perfino sul destino, per diventare lui stesso un simbolo di istinto e velocità. Quello irraggiungibile per tutti, capace di conquistare cinema e rotocalchi, di cenare insieme ad Alain Delon e le sue donne, così come quello che alla tuta nera che gli faceva da seconda pelle applicava gli sponsor per la prima volta. Ma anche quello che ha lasciato da campione indiscusso la Agusta per la Yamaha, nel corso di una conferenza stampa nel dicembre del 1973 tra lo sconcerto generale. Tacciato di essersi venduto allo straniero dopo un decennio in cui, a bordo della scuderia di Varese, la sua bacheca non aveva mai smesso di luccicare di trofei di ogni sorta, impose immediatamente i suoi ritmi anche alla casa giapponese, dimostrando al mondo quanto testa e grinta possano fare la differenza.


L’esordio in questo senso fu emblematico, alla 200 miglia di Daytona. La partecipazione dell’italiano infatti sollevò reazioni sgradevoli da parte della stampa statunitense volta a dimostrare la netta superiorità di star di casa come Kenny Roberts, campione USA, che non mancò di sottolineare in un’intervista che il mondo fosse l’America, non l’Europa, aggiungendo una gloriosa spacconata quale: “Me lo mangio crudo”. A metà gara però Giacomo Agostini era già in testa, stanco, disidratato, ma perfettamente simbiotico con il proprio bolide, pronto a tagliare il traguardo per primo e ricevere da Roberts in risposta un più laconico: “Non sei umano”.


Un cavaliere solitario armato solo della motocicletta, che nelle corse ha svettato come nessun altro, ma che non ha mai dimenticato il suo primo grande amore. Per la sua stagione finale infatti saltò di nuovo in sella all’Agusta, che in quel periodo versava in difficoltà, facendo una scelta dettata soprattutto dalle ragioni del cuore. Così, a bordo della nuova MV disputò la competizione del’76 con un’ultima vittoria proprio sul tracciato del Nurburgring, dove, 20 anni prima, aveva ottenuto il primo successo nel motomondiale. Chiudendo in questo modo, con un finale carico di emozioni, la vicenda di uno dei binomi più formidabili e vincenti nella storia dello sport. Jordan e i Chicago Bulls, Pelé e il Santos, Fausto Coppi e Bianchi, ma anche Giacomo Agostini e MV Augusta, indissolubilmente legati nel mito.


(Credits: Getty Images)

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SN4P
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