AGASSI, DRITTO E ROVESCIO

Submitted by greta.torri on Thu, 04/29/2021 - 08:13
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Marco Di Milia
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Si erano incrociati per la prima volta in Italia, nel 1989. Era stato avvisato di non sottovalutare quel ragazzo di qualche mese più giovane di lui. Se ne parlava come uno dei migliori talenti emergenti, ma in quella gara Andre Agassi riuscì a battere senza troppa difficoltà lo sfidante Pete Sampras, inconsapevole che insieme avrebbero infiammato i campi da tennis di tutto il mondo.


Si sono ritrovati l’uno di fronte all’altro da acerrimi rivali per oltre un decennio, divisi non solo dalla rete, ma anche da un carattere diametralmente opposto. Troppo diversi, troppo competitivi e pure troppo ambiziosi eppure anche estremamente leali quando c’era da battersi, come sul campo di Key Biscane nel 1994, quando i due si ritrovarono di nuovo avversari per la finale del Masters 1000 di Miami.


Ma ciò che passò alla storia quel giorno, più del match stesso, fu ciò che successe poco prima negli spogliatoi. Sampras era a pezzi per forti dolori allo stomaco che lo avevano costretto a una flebo via endovena per restituirgli liquidi, lasciando, come previsto dal regolamento, Agassi con la vittoria in pugno per questo inatteso forfait tecnico. Eppure il tennista di Las Vegas decise di aspettare che il suo più grande nemico si ristabilisse per iniziare la propria sfida. Quando, quasi due ore dopo l’orario prestabilito, iniziò infine l’atto conclusivo del torneo, Sampras nonostante una partenza sorprendente finì per subire le giocate che ad Agassi valsero il primo set. Ma Pete migliorò al punto da aggiudicarsi il secondo parziale per 6-3 e infine pure il terzo, lasciando chiunque a bocca aperta e più di tutti il suo storico rivale, con quei 4 ace scagliati uno dietro l’altro all’ultimo gioco. Erano bastate 2 ore e 15 minuti perché Sampras realizzasse la sua missione impossibile.


Agassi ne uscì sconfitto, ma consapevole che non avrebbe mai accettato un titolo senza giocarselo sul campo: “Non merito il trofeo se non riesco a battere il miglior giocatore del mondo, specialmente se è malato”. Aveva ricevuto il ringraziamento del direttore del torneo, dei 14.000 presenti e dei milioni di telespettatori sintonizzati e, naturalmente, anche quello di Pete: “Non lo dimenticherò mai, mi ha dimostrato tanta classe”.


E lo ringraziamo anche noi, nel giorno del suo compleanno, per quel gesto di coraggioso fairplay, che a distanza di quasi trent’anni suona ancora come una delle migliori e più temerarie dichiarazioni di sportività di un atleta incapace di venire meno ai propri principi anche quando in palio c’è un titolo mondiale.

(Credits: Getty Images)

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