1964: DA MOSCA A MADRID, CON L’ITALIA AL DEBUTTO

Submitted by greta.torri on Thu, 06/17/2021 - 10:26
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Marco Di Milia
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Se alla sua prima battuta, l’Europeo, a Parigi del 1960, era ancora al suo banco di prova, con più perplessità che effettive certezze, alla sua seconda incarnazione del torneo, nel 1964, molti dubbi vengono presto fugati.


Chi riteneva fosse una manifestazione di scarso successo, vista anche la poca partecipazione di squadre e di pubblico, si deve presto ricredere, visto che alle qualificazioni si presentano ben 28 formazioni. Nonostante ancora il rifiuto della rappresentativa della Germania Ovest di non voler prendere parte a manifestazioni sportive che non fossero i Mondiali di Calcio, arrivano le prime volte di Portogallo, Inghilterra e, soprattutto, Italia.


L’esordio degli azzurri è subito esaltante: un secco 6 a 0 contro la Turchia che rende praticamente inutile la gara di ritorno, vinta per una rete dagli avversari. Mentre altre possibili teste di serie cadono presto, come, a sorpresa, la Jugoslavia terza classificata del ’60, l’Ungheria e la stessa Inghilterra, l’Italia deve affrontare un ultimo scoglio per accedere alla fase finale: i campioni uscenti dell’URSS.


I giudizi però si dividono ben presto, dopo un primo match perso 2 a 0 e una certa diffidenza verso un comparto difensivo guidato da Cesare Maldini e Giacinto Facchetti che non ha mai davvero ingranato. La partita comunque si gioca in modo decisamente rude e gli azzurri patiscono il temperamento roccioso degli avversari che non esitano a ricorre a interventi al limite, se non proprio a falli decisamente poco casuali. Gianni Rivera e Giacomo Bulgarelli si dimostrano poco incisivi ed Ezio Pascutti, il bomber cui erano state affidate le sorti della squadra, nel perdere le staffe in un ennesimo duro fallo subito, rimedia pure un’espulsione per reazione. Un tifoso gli dà del cretino mentre si avvia mogio verso gli spogliatoi, ma il commissario tecnico Edmondo Fabbri esprime dubbi sui tacchetti in duralluminio dei sovietici, banditi dal regolamento e Angelo Sormani, dopo quella partita è costretto a dieci giorni di recupero fisico per il trattamento ricevuto dagli avversari.


Con l’idea di ribaltare il triste risultato dell’andata, il secondo match contro i russi va in scena all’Olimpico, senza però riuscire ad andare oltre un pareggio che tiene così lontano gli azzurri dalla fase finale del campionato, programmata in Spagna, negli stadi di Barcellona e Madrid. Una volta fuori dagli Europei, in Italia, giornali e opinione pubblica iniziano a chiedere a gran voce la convocazione di Altafini e Sivori per rinforzare un attacco bisognoso di ulteriore energia nelle competizioni internazionali, ma Fabbri resta fermo nelle proprie scelte: “La Nazionale ha impostato un programma che ci deve portare in Inghilterra ai Mondiali da protagonisti, quindi vado avanti con Mazzola, Corso, Rivera e Orlando, in difesa ripropongo il blocco dell’Inter più Salvadore e Trapattoni”. La questione si risolve infine in tutta la sua ingenuità quando in quel 1966 il gol di Pak Doo-Ik della Corea del Nord manda in fumo i sogni degli italiani, segnando una delle più clamorose battute d’arresto della storia del nostro calcio.


Nei quarti, Danimarca, Lussemburgo e Svezia riescono a mettersi in mostra oltre i pronostici della prima ora, ma a conquistare un posto tra le prime quattro d’Europa è solo la Danimarca di Ole Madsen – dopo un incredibile 3-3 e 2-2 e poi, ancora, un definitivo 1-0 di spareggio, contro il Lussemburgo -, insieme a Ungheria, Unione Sovietica e la Spagna padrone di casa. Proprio la squadra del Generalissimo Franco entra in scena in una temeraria formazione che il tecnico José Villalonga compone non con i campioni già acclamati del Real Madrid come Di Stéfano, Gento, Del Sol e Puskas, bensì con giocatori più giovani, ben motivati e di certo desiderosi di mettersi in mostra.


La finale arriva così davanti a un pubblico di 125.000 spettatori che acclamano gli eroi di casa, capaci di farsi largo, partita dopo partita, per arrivare a un confronto non solo agonistico, ma anche ideologico contro quell’URSS che solo quattro anni prima, al precedente campionato Europeo, la ragion di Stato aveva vietato di sfidare. Il disgelo tra le due Nazioni permette quindi lo scontro, al punto che in caso di vittoria, dall’una o dall’altra parte, la propaganda ne avrebbe sfruttato al massimo la eco ricavata. Eppure, già dal fischio di inizio i sovietici appaiono disorientati, forse anche per via del gran caldo di quel 21 giugno 1964, subendo al 6° il gol di Chus Pereda e, nonostante un pareggio arrivato appena due minuti dopo con Galimzyan Khusainov, perdendosi definitivamente nel corso del secondo tempo, con Marcelino Cao che chiude ogni possibile speranza all’85°.


L’Europeo del 1964, dopo una prima edizione ancora in fase di rodaggio, segna così il trionfo della Spagna, ma anche il successo di una prima vera manifestazione calcistica rappresentativa delle migliori promesse sportive europee, da Lisbona a Mosca, passando per Copenhagen, Praga, Bucarest e Roma, in grado di unire finalmente in un solo scenario quel Vecchio Continente che le circostanze umane hanno diviso troppo a lungo.

(Credits: Getty Images)

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