INFAME, INDELEBILE, CASA: QUANDO WADE SCELSE CHICAGO

Submitted by Anonymous on Wed, 09/08/2021 - 12:47
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Miraud
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Spike Lee l’ha ribattezzata Chi-raq. I numeri sono il filo conduttore di una delle più recenti pellicole del regista. Poco più di 7.100 militari americani uccisi nelle due guerre in Afghanistan e Iraq. A Chicago, tra il 2001 e il 2005, 7.356 morti. 2016. Temporali sparsi, fine estate. Eppure l’agosto messo da parte – sebbene il termometro dica il contrario - è stato bollente, il più caldo degli ultimi due lustri. Le proteste afroamericane contro gli abusi della polizia si sono snodate anche qui, a Chicago, dove il movimento Black Lives Matter – le vite dei neri contano - ha riscosso numerose adesioni. Chi ne prende le distanze lo ha ribattezzato Black Lies Matters – tanti bugiardi, dicono.

L’area più a sud è terra di conflitto. Quasi 600 omicidi da inizio anno. A rimpinguare il bottino dei decessi, la tragedia del 26 agosto. Storia americana. Nykea Aldridge, 32 anni, passeggiava col figlio in Parkway Gardens quando un proiettile vagante l'ha colpita alla testa e uccisa. Era in corso una sparatoria tra bande rivali. Sua zia ha organizzato una veglia di preghiera. JoLinda, il sogno americano: una vita a entrare e uscire di prigione, poi la svolta. È diventata pastore di Dio, tra un sermone e un’azione si batte per rendere la città più sicura e meno violenta.

UN CARISMA DI QUASI DUE METRI

L’Halsted street è una delle vie principali. Tra il Willie Mae Empowerment Center e la chiesa New Creation è stato allestito un palco improvvisato. E' sempre il 2016, prima metà di settembre. Si fa visita ai nuovi spazi scolastici. I posti a sedere sono andati esauriti presto: centinaia di presenti, almeno tre generazioni. Gomito a gomito. Hanno appena finito di parlare il sindaco, Rahm Israel Emanuel, e il senatore democratico Dick Durbin. E' la volta del figlio del pastore. Il cugino di Nykea. Tipo carismatico e concreto, quasi due metri di uomo. Essere Dwayne Wade. "Quando ho deciso di tornare a Chicago l’ho fatto con motivazioni più profonde della volontà di giocare a basket con i Bulls. Avevo nove anni quando li ho visti festeggiare il primo titolo, ho capito in quel momento che avrei voluto diventare un giocatore Nba e indossare la maglia di Chicago, la mia città. Finalmente accade, è speciale. Ma questa è solo una parte dei propositi che mi hanno spinto a lasciare Miami e ora sto capendo in maniera ancora più nitida perché l’ho fatto. Credo che la mia intenzione sia di diventare una voce capace di farsi sentire per aiutare chi sta qui a vivere più tranquillo. C'è bisogno che tutti si rendano conto di poter fare qualcosa per la nostra città".

L'HIT DEL DRAFT, GLI HEAT DELLA FLORIDA

26 giugno 2003, Madison Square Garden, New York. I talenti del college stanno per varcare la soglia del grande basket. La Nba è un sogno che si spalanca annualmente nel corso del draft. Il reclutamento. L’infornata corrente è una delle meglio assortite. LeBron James, Carmelo Anthony, Chris Bosh. Prossimi a diventare giganti. I Bulls puntano su un 21enne nato e cresciuto a Chicago. Sceglie per prima Cleveland, poi Detroit, Denver, Toronto. La quinta opzione spetta a Miami. Pat Riley, Dg degli Heat, manda in fumo i piani dei Tori. Vuole quel giovane che ha preso per mano Marquette e restituito al College i fasti di un tempo. Valigia e biglietto di sola andata in un giorno che non si dimentica: il ragazzino saluta Chicago, va a concretizzare il sogno altrove. Nei 13 anni passati in Florida ha fatto in tempo a diventarne il Re. 871 partite, 20.962 punti realizzati, miglior marcatore di sempre degli Heat. Tre titoli Nba: nel 2006 con Alonso Mourning, poi i due consecutivi - 2012-2013 – con LeBron James e Chris Bosh. “Il terzo me lo dedico. Il primo era per Alonso (tornato a vincere dopo un trapianto di rene che ne aveva messo a rischio la carriera), il secondo per LeBron (cui serviva come il pane un successo per consacrarsi tra i più grandi di sempre)”.

DENTRO CHICAGO: TUTTI FIGLI DI MJ23

Dwyane Tyrone Wade jr., classe 1982, perfezionista, riservato. Si allena più degli altri, parla poco. Dev'essere per via di papà Dwyane sr., coach di pallacanestro, ex militare, vecchio stampo. Tutt’altro stile, mamma JoLinda. C'è giusto un paio di modi per vivere la periferia. Tenersela dentro o cucirsela addosso.
Chicago. Multietnica, infame, indelebile. Il vento si manifesta con violenza inaudita: ogni inverno un disastro. Fondata nel 1833, ricostruita nella seconda metà dell’Ottocento: l’assetto urbano arde con il grande incendio del 1871, prende corpo la città verticale. L’afflato della storia trova ossigeno tra i riff del blues, il surrealismo di John Landis, la penna di Upton Sinclair. Chicago. Finanza, industria e ricerca. La città si distende tra ponti mobili e grattacieli, 89 premi Nobel passati per la rinomata Università cittadina, tre milioni di chicagoans: bianchi e neri in misura pressoché speculare, ispanici e asiatici sono minoranze significative. Il crimine marca il territorio e lo spartisce: per ciascuna banda, una sigla identitaria a creare dicotomie locali, sociali e geografiche nonostante sia proprio un acronimo inclusivo a rendere, da decenni, i 606 km quadrati di superficie nei quali si sviluppa la metropoli, un unico quartiere. Tutti figli della stessa madre. MJ23.    

I CELTICS CONTRO DIO

Larry Bird esausto. Il Boston Garden una bolgia. La Leggenda prende fiato, si guarda intorno, qualcosa stride. Eppure la serie prosegue lineare, play off, quarti di finale. Celtics avanti, dopo due overtime arriva il 2-0. 20 aprile 1986. L’epica resta forma d’arte ma non più letteratura, da un pezzo. È diventata genere televisivo. Da Omero a Johnny Most. Bird è incredulo, una smorfia, occhi addosso al giovanissimo 23 dei Bulls che ha chiuso con 63 punti e gli ha schiacciato in faccia. Il sapore della vittoria non è sempre lo stesso. Il contadino da French Lick prende fiato, poi parla. “Non credevo che qualcuno potesse fare questo ai Celtics, a Boston. Stasera abbiamo giocato contro Dio, travestito da Michael Jordan”.

ODORE DI BASKET E POLVERE DA SPARO

Fine anni Ottanta, Chicago. Nelle università si teorizza il neoliberismo, spopola l’house music, i dj aumentano il pitch a velocità folli. La città è un intercapedine disomogeneo. Bambagia, borghesia, ghetto. Harold Washington, primo sindaco di colore, muore sette mesi dopo la rielezione; il South Side è una ferita che non si rimargina. Delinquenza, crack e disoccupazione. Al civico 5901, tra la 59esima e Prairie Avenue, la polizia fa irruzione in casa di JoLinda, pusher tossicodipendente. In sala, due bimbi: poco sopra la decina, la piccola Tragil; Dwyane jr. è un ometto di 5 anni meno. Dwyane sr. ha levato le tende tempo addietro, a JoLinda la custodia di entrambi i figli che vivono con una madre che non ha strumenti e voglia per fare la mamma, il nuovo compagno e due sorelle acquisite.
La costola del sud è un’incrinatura sempiterna: né frattura né guarigione. Campo di battaglia, laboratorio, cimitero. Si sopravvive, si fugge, si muore. Agli albori dei ’90, il giorno più importante della vita di Dwyane jr.: ha 9 anni quando Tragil sovverte le dinamiche di un destino – atroce – scritto a priori. Prende per mano il fratellino e lo accompagna dal padre, sulla 79esima, a pochi isolati, con la promessa di andarlo a riprendere la sera successiva. Non accade. Nè il giorno dopo, nè quelli seguenti. Dwyane jr. resta col papà, con la compagna di lui e i tre fratellastri. Nella nuova casa ci sono regole da rispettare, si respira basket, il domani è una visione prospettica e non più fatalista.

NEXT STEP: IL FUTURO PROSSIMO

Michael Jordan si fa le ossa in fretta e - tra il 1991 e il 1993 - regala ai Bulls tre Anelli consecutivi. I primi della loro storia. A Chicago la festa dura tre anni. Dwyane jr. ha già fatto decollare un sogno, lo stesso dei ragazzini che vivono nel South Side. Diventare MJ23 e giocare per i Bulls. Il bilancio da cronaca nera del triennio è di 2.720 omicidi. La generazione di adolescenti in movimento, nei due decenni successivi, è cresciuta con i Bulls - dopo il secondo trittico vincente e il ritiro di Jordan – tornati a guardare più di una franchigia dal basso all’alto. Molti tra quei giovani hanno perseguito l’obiettivo di investire sulle proprie attitudini anche per rendere la città un luogo migliore. Quasi nessuno è riuscito a sfondare nel basket professionistico. Una parte ha fatto conti più o meno salati con il crimine. Qualcuno non ha fatto in tempo nemmeno a far di conto.

DENTRO L'ANIMA DI WADE

Dwyane Tyrone Wade jr., guardia tiratrice, poco incline allo studio. Alla Richards High School mette su centimetri e chili, tira fuori talento cestistico e carattere da leader in dosi che, tuttavia, non gli consentono di eccellere. Buon giocatore, come altri coetanei la cui carriera scolastica, per giunta, è di gran lunga migliore. Per puntare al posto in squadra nel College non è abbastanza. A indossare la canotta del quintetto del Marquette University, Michigan, arriva perché coach Tom Crean ha notato in lui qualcosa. L’accordo è un compromesso: non appena i voti migliorano, si spalancano per Dwyane jr. le porte d’accesso al parquet. Accade al secondo anno: con la palla a spicchi tra le mani, incanta. 17.9 punti di media a partita, rapidità senza eguali, propensione a dare l’anima ogni secondo di allenamento e gara. La stagione successiva è quella della consacrazione, 2002. Medie di 21.5 punti, 6.3 rimbalzi, 4.4 assist, 2.2 recuperi e 1.3 stoppate. MVP delle Midwest Regional Final, poi l’Nba.  

BACK TO CHICAGO

2016, metà settembre, oltre un mese ala Regular Season. Chicago. Multietnica, infame, indelebile. In hlsted Street, gomito a gomito, tre generazioni: " So cosa significa camminare nelle scarpe di questi bambini". Dwyane Tyrone Wade jr., 34 anni, è tornato a casa.

(Credits: Getty Images)

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ZeroXS
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