SCOTTIE PIPPEN, PIÙ CHE ROBIN. UNA STELLA DI LUCE PROPRIA

Submitted by Anonymous on Sat, 09/25/2021 - 12:20
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Redazione
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Ogni Batman ha bisogno del suo Robin. E anche se non lo ammetterà mai, talmente grande è l’ego di cui fa bella mostra in ogni occasione utile, Micheal Jordan prima o poi dovrà riconoscere che senza Scottie Pippen il suo mito non avrebbe potuto raggiungere le vette che ha raggiunto. Non ce voglia “sua altezza”, ma quel pivello nativo di Hamburg, piccolo paese di una sperduta contea nell’Arkansas, in un modo o nell’altro è stato l’uomo che più di ogni altro lo ha aiutato a scrivere una pagina di storia irripetibile dello sport mondiale. E talvolta la storia si dimentica di rendere il giusto merito a chi ha dovuto spalleggiare l’attore principale, coprendogli le spalle in difesa e consentendogli di fare tutto il fracasso che ha fatto in attacco. Le vittorie hanno fatto il resto: perché se Stockton-to-Malone è ancora oggi considerato il ticket per eccellenza del basket NBA, Jordan&Pippen è la coppia dei sogni. Quella che non ha sbagliato una virgola, vincendo 6 titoli in 8 anni (già, perché in quelle due stagioni Jordan si era dato… al baseball). Quella che nell’immaginario collettivo è rimasta scolpita nei cuori e nella mente degli appassionati come nessun’altra ha saputo fare.

LO “STEAL OF THE DRAFT” DI KRAUSE

Scottie, che oggi 25 settembre compie 56 anni, non ha avuto quel che si dice un’infanzia facile. Il papà e capofamiglia, con una moglie e 12 figli sul groppone, è rimasto paralizzato a causa di un ictus e il fratello maggiore Ronnie, che fu il primo a cimentarsi in una disciplina sportiva (nel wresting), a sua volta restò segnato a vita da un infortunio durante un combattimento. Con la fortuna che aveva voltato le spalle, Scottie s’è dovuto costruire un futuro da sé, trovando nel basket la risposta a molti suoi perché. Non ha mai ricevuto una borsa di studio in vita sua e per pagarsi gli studi all’University of Central Arkansas si è dovuto abituare a lavorare nei pochi momenti liberi. Anche sul parquet inizialmente le cose non è che filassero quanto mai lisce: la prima annata da rookie fu sostanzialmente anonima (appena 4.3 punti di media), la seconda le statistiche cominciarono a crescere fino all’esplosione nell’ultima (1986-87) nella quale si congedò con 23.6 punti di media, 10 rimbalzi a partita e 4.3 assist. A scovarlo, manco a dirlo, fu quel segugio di Jerry Krause, all’epoca già GM del Chicago Bulls, che volle imbastire uno scambio con i Seattle Supersonic nel draft del 1987 pur di assicurarsi il giovane Pippen: i Sonics lo presero alla numero 5, scambiandolo con l’ottava scelta di Chicago (più altri asset) che rispose al nome di Olden Polynice. E se quest’ultimo nome non l’avete mai sentito è perché la sua carriera, seppur durata quasi una quindicina d’anni in NBA, non è stata nulla di così sensazionale. A conti fatti, Krause mise a segno il classico “steal of the draft”, il “furto” del draft, pescano un giocatore che si sarebbe rivelato un pilastro per una dinastia destinata a riscrivere i libri di storia.

QUEL MAL DI TESTA CHE FECE ARRABBIARE MJ

Quando Pippen arrivò a Chicago, MJ era già MJ. Non era ancora un vincente, ma aveva la sua linea di scarpe, il suo bel contratto firmato con gli sponsor e un futuro davanti a sé luminoso. Ma quando arrivava ai play-off, fatalmente veniva rispedito al mittente. Il primo anno di Scottie non fu entusiasmante, la sua crescita costante nel corso delle stagioni fu semplicemente sensazionale. Perché non passava anno in cui mostrata progressi evidenti, al netto di qualche infortunio che ne rallentò il percorso. Più che altro Pippen fu una delle vittime del “bad Boys” di Detroit, che a fine anni ’90 dominarono la scena vincendo due titoli consecutivi (1989-1990) e innescando una rivalità accesissima con i Bulls. Proprio la finale della East Conference del 1990 rischiò di rovinare il giocattolo prima ancora del decollo: Pippen fece malissimo nella serie e in gara 5, quella che consegnò il pass per le Finals ai Pistons, restò in campo pochi secondi, accusando un forte mal di testa. Jordan lo accusò pubblicamente di non aver voluto combattere, dopo che già nelle precedenti gare l’apporto di Scottie fu pressoché nullo. Ma quello fu l’ultimo boccone amaro da ingoiare.

LA NASCITA DELLA LEGGENDA

Perché l’anno dopo arrivò l’ennesima rivincita, e stavolta gli dèi del basket soffiarono sulle vele di Chicago. Con Pippen finalmente decisivo (22 punti, 8 rimbalzi, 3 stoppate e 2 recuperi di media nella serie), i Bulls si lanciarono verso il primo titolo dell’era Jackson (4-1 in finale sui Lakers di un Magic Johnson ormai al tramonto), e da quel momento cominciarono a costruire la loro aurea di invincibilità. Si ripeterono nel 1992 contro Portland, poi nel 1993 contro Phoenix conquistando il terzo titolo consecutivo, come non accadeva dai tempi dei Celtics di Bill Russell negli anni ’60. E Pippen ormai non era più quel giocatore famoso per la storia del mal di testa contro Detroit: era l’alter ego di Jordan, il difensore più forte della lega, l’uomo della provvidenza nei momenti più delicati. Col ritiro momentaneo di MJ non riuscì a guidare i Bulls a nuovi successi, pur disputando nel 1993-94 a livello di stats la sua miglior stagione di sempre, condizionata però da qualche passaggio a vuoto e qualche polemica nella serie contro i Knicks (famoso lo schema finale disegnato per Kukoc, con Pippen che basito si rifiutò di entrare in campo: ma il croato, alla fine, segnò il canestro della vittoria). Col ritorno del 23 per altre tre stagioni, dal 1996 al 1998, la formula magica tornò a diffondersi nell’aria, consegnando altri tre favolosi trionfi ai Bulls. Ormai in campo s’intendevano con uno sguardo e nessuno, almeno a livello iconico, ha saputo mai ripetere quelle gesta. Pippen chiuderà la carriera tra Houson, Portland e ancora Chicago per la passerella finale a 38 anni. Ma quello che doveva dimostrare sul campo l’aveva già abbondantemente dimostrato prima. In un’esistenza per nulla facile, segnata dalla sofferenza nell’età adolescenziale e pure di recente, con la morte del figlio 33enne Antron lo scorso 20 aprile. Episodi nei quali anche un grande difensore fatica a tenere la posizione.

(Credits: Getty Images)

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