ENZO BEARZOT, L’UOMO CON LE SPALLE LARGHE

Submitted by Anonymous on Sat, 09/25/2021 - 14:26
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Redazione
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Tanti auguri al “Vecio”, che per chi ha l’Azzurro nel cuore non è mai venuto meno. Tanti auguri a chi adesso ha un altro degno successore, perché in fondo l’abbiamo sentito ripetere da ogni lato del Bel Paese che si, questa nazionale di ragazzotti di Mancini che ha incantato e conquistato l’Europa somiglia tanto a quella che nel 1982 sparigliò le carte e arrivò a prendersi il mundial spagnolo. Una squadra, allora come oggi, imperniata sul concetto di gruppo, sulla capacità di tanti di andare oltre i propri limiti quando il campo richiedeva quel piccolo passo in più. Una storia che ci piace raccontare e che ci fa ancora oggi emozionare, eppure sarebbe banale e nemmeno riconoscente ridurre Enzo Bearzot al solo capolavoro fatto nell’estate del 1982. Perché Bearzot nel calcio italiano è stato molto di più, e il suo lascito è figlio di una storia cominciata appena dopo la guerra e durata almeno 60 anni.

UN DIFENSORE ROCCIOSO COME POCHI

Aiello del Friuli è un piccolo paesino di duemila anime che dista una trentina chilometri da Udine e altrettanti da Gorizia. Posizione strategica per un giocane calciatore per provare a sognare in mezzo alle rovine e alle macerie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale. Il Pro Gorizia, che milita in B, ne individua il talento e decide di dargli una chance. Beata fu l’intuizione: appena 39 gare tra i cadetti ed ecco che alla porta dei goriziani bussa l’Inter, che se lo porta all’ombra della Madunina e per tre anni gli fa fare le ossa. La cessione al Catania segna un punto di svolta: in Sicilia troverà la sua dimensione, vivendo tre stagioni da protagonista nelle quali arriva a totalizzare 95 presenze, segnando 5 reti. Poi però, nel 1954, scocca la scintilla con l’altro grande amore della sua carriera di calciatore, vale a dire il Torino, dove resterà fino al 1964, con la sola eccezione di un’annata nella quale torna all’Inter. Alla fine metterà assieme due promozioni dalla B alla A (una a Catania, una a Torino) e 14 reti in 442 presenze, che per un difensore non sono poi tanto male. Nel suo destino, però, c’era già un ruolo da selezionatore: per come guidava le operazioni in difesa, si era capito presto che il calcio avrebbe potuto offrirgli opportunità ancora più ghiotte nella sua seconda vita nel mondo del pallone.

L’UOMO CONTROCORRENTE, IL CT PIÙ PRESENTE

Avere avuto un maestro come Nereo Rocco, utilissimo per offrirgli i primi rudimenti del mestiere nel Torino di metà anni ’60, ha rappresentato un indubbio vantaggio, così come Edmondo Fabbri e Fulvio Bernardini negli anni successivi. Ma Bearzot la carriera se la costruirà da solo, passando anche per la gavetta col Prato in Serie C. La svolta avviene però all’inizio degli anni ’70, quando Ferruccio Valcareggi lo volle inserire nei quadri tecnici federali, portandolo con se nelle esperienze mondiali del 1970 e 1974. Bearzot intanto divenne tecnico dell’Under 23 (oggi sarebbe Under 21), e quando Fulvio Bernardini assunse la guida della nazionale dopo i disastrosi mondiali di Germania 1974 ecco che il Vecio si ritrovò a fargli da vice, fino a diventare qualcosa in più di un normale assistente. Di fatto per tre anni e complessive 16 gare la coppia cominciò a gettare le basi per quella che sarebbe diventata la nazionale più amata dagli italiani, con Bearzot che nel 1978 divenne commissario tecnico unico guidando gli Azzurri a un sorprendente quarto posto al mundial argentino. Il capolavoro però avvenne quattro anni più tardi, e anche grazie a scelte anticonformiste ma oggettivamente efficaci: la scelta di puntare sul gruppo e non sui singoli, ben evidenziata dalla convocazione di Paolo Rossi (che rientrò ad aprile dopo due anni di squalifica), e soprattutto la decisione di rispondere alle critiche dei giornalisti italiani con il primo silenzio stampa della storia del calcio italiano, isolando e proteggendo i suoi ragazzi da attacchi spesso gratuiti e fuori luogo. Tutte le critiche dovevano ricadere sulle sue spalle, e lui dimostrò di averle larghe. La storia ha detto che aveva ragione lui: il trionfo nella notte di Madrid rimane incastonato tra i momenti più belli della storia italiana, e non solo sportiva. Per Bearzot fu l’apice di una carriera che volgeva quasi al termine: resterà in sella per un altro quadriennio, peccando forse (per sua stessa ammissione) di eccesiva riconoscenza nei confronti di chi arrivò a conquistare il titolo del 1982, e anticipando l’addio alla panchina azzurra (il contratto scadeva nel 1990: avrebbe dovuto guidare la nazionale anche nel mondiale di casa) col passaggio di testimone nelle mani di Azeglio Vicini dopo 104 presenze, record tutt’ora imbattuto. In seguito ricoprirà la carica di presidente del Settore Tecnico di Coverciano e diventerà persino senatore a vita, ma di fatto gli ultimi 20 anni saranno caratterizzato dall’eterna gratitudine di tanti estimatori e appassionati che non gli fecero mancare mai il loro sostegno. Se ne andrà il 21 dicembre del 2010 e saranno proprio i “suoi” giocatori del 1982 a sorreggere la bara: sulle loro spalle c’era il peso di chi si fece carico anche dei loro errori quasi trent’anni prima.

(Credits: Getty Images)

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