BEN JOHNSON, DAGLI ALTARI ALLA POLVERE IN SOLI TRE GIORNI

Submitted by Anonymous on Sun, 09/26/2021 - 22:08
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Redazione
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La storia è piena di personaggi buoni e cattivi, a seconda di chi li osserva e dalla parte in cui finiscono. Benjamin Sinclair Johnson jr., per tutti Ben, ha provato sia l’una che l’altra sensazione. Quella di stare al centro della scena, osannato da un’intera platea planetaria. E quella di ritrovarsi sempre al centro, ma per la ragione sbagliata, finendo per diventare il grande accusato dell’altrettante sterminata platea planetaria. Il tutto nello spazio di tre giorni, quelli che hanno cambiato per sempre la storia dell’atletica, e forse anche dello sport. Perché se dici doping pensi innanzitutto a Johnson, atleta di origini giamaicane trapiantano in giovane età in Canada, la nazione per la quale ha scelto di gareggiare durante la sua breve e burrascosa carriera. Un’etichetta, quella di atleta dopato, dalla quale non è mai riuscito a staccarsi, provando persino a scagionare se stesso con registrazioni di dubbia veridicità che non gli hanno riportato indietro nessuno dei suoi record e dei suoi titoli. E tantomeno l’onore.

IL PRIMO UOMO SOTTO I 9”80

La storia di Ben Johnson s’intreccia giocoforza con quella del più grande velocista del dopoguerra, vale a dire Carl Lewis. La loro rivalità negli anni ’80 assunse dimensioni enormi dopo che a Los Angeles, nel 1983, Lewis conquistò l’oro sui 100 metri e Johnson, al debutto olimpico, riuscì a conquistare un bronzo che per l’età che aveva (23 anni) e i progressi mostrati negli anni precedenti suonava alla stregua di un avvertimento al rivale. Tanto più che nel 1987, quando Roma ospitò i mondiali di atletica, la pista dell’Olimpico fece da sfondo a una gare epica nella quale Ben vinse la medaglia d’oro con il nuovo primato del mondo, portato 9”83. La sua favolosa reattività allo start, unita a muscoli potentissimi come forse mai si erano visti a quei livelli nel mondo della velocità, lo proposero al mondo come il nuovo vate degli sprint. A Seoul 1988 era chiaro a tutti che si sarebbe assistito nuovamente a un duello mozzafiato: Lewis, che puntava a ripetere le quattro medaglie d’oro vinte a Los Angeles quattro anni prima, dovette inchinarsi allo strapotere di Johnson, capace di scendere per la prima volta sotto il muro dei 9”80, fissato il crono a 9”79. Quel giorno l’atletica assistette a un evento unico e (per l’epoca) irripetibile, oltre a celebrare un campione che appariva imbattibile ogni oltre ragionevole dubbio. Un’estasi durata lo spazio di tre giorni. Quando il mondo capì che qualcosa era andato storto.

UN EPILOGO TRISTE E SCONTATO

Al controllo antidoping che seguì la finalissima dei 100, Johnson venne trovato positivo allo stanozololo, un anabolizzante che poi, si scoprirà anni dopo, il canadese utilizzava sistematicamente da inizio carriera per ingigantire la massa muscolare. In realtà all’epoca erano tanti i velocisti che ricorrevano agli anabolizzanti, tanto che la finale di Seul venne considerata la “gara più sporca di sempre”, con almeno 6 atleti su 8 pizzicati almeno una volta in carriera nelle reti dei controlli. Ma Johnson è stato l’unico a pagare il prezzo di quelle scelte, vedendosi sottratti tutti i record, anche quello ottenuto a Roma nel 1987. L’eco della notizia fu impetuoso e inchiodò l’atleta alle sue responsabilità, spazzandone via in un attimo l’aurea di invincibilità e grandezza. Nei due anni successivi Johnson dovette rinunciare a gareggiare poiché squalificato dalla IAAF, ma il ritorno all’inizio degli anni ’90 non produsse gli esiti sperati. A Barcellona 1992 non entrò neppure in finale e nel 1993, dopo l’ennesima positività riscontrata ai campionati canadesi, arrivò per lui la radiazione definitiva. Nella sua seconda vita ha provato a fare il preparatore atletico, collaborando anche con alcuni calciatori (su tutti con un Maradona ormai al capolinea), poi è divenuto testimonial antidoping, cercando di trasmettere ai giovani sportivi di oggi i giusti valori, sottolineando l’importanza di non ripetere i suoi stessi errori. Conversione (forse) tardiva per un atleta che avrebbe davvero potuto riscrivere la storia dell’atletica, se solo non avesse scelto di farlo entrando dalla parte sbagliata.

(Credits: Getty Images)

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