TOTTI: PUPONE, BANDIERA, LA ROMA. AUGURI FRANCE'

Submitted by Anonymous on Mon, 09/27/2021 - 11:07
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Redazione
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Il regalo più bello gliel’hanno sottratto da sotto al naso. Perché Francesco Totti avrebbe voluto una sola cosa per i suoi 45 anni: esultare per una vittoria nel derby, lui che in carriera ne ha disputati 44, con un bilancio peraltro leggermente in negativo (15 vinti, 12 pareggiati e 17 persi). Gli sarebbe però bastato vedere Zaniolo e compagni battere Immobile e regalare un’altra notte magica di questo primo scorcio di Roma targata Mourinho, ma tra pali, Var, rigori dati e non dati e la solita imprevedibilità da derby qualcosa è effettivamente andato storto. Se ne farà una ragione, il buon Francesco: per lui festa deve comunque essere, oggi che non sente più addosso il peso delle responsabilità in quel di Trigoria, libero di ricordare una storia partita da lontano che lo ha condotto a vette inesplorate nel calcio della Capitale. Una bandiera, forse l’ultima bandiera del calcio italiano. Un uomo e un calciatore che ha saputo cogliere tutte le traiettorie di due decadi di calcio tricolore.

IL PRIMO DERBY A 13 ANNI

Il ragazzo di Porta Metronia ne ha fatta di strada da quando, alla fine degli anni ’80, spopolava nel vivaio della Lodigiani, storico club romano, che nel 1989 fu al centro di un caso diplomatico tutto interno al calcio della Capitale: la Lazio aveva praticamente concluso l’accordo per prelevare Totti (l’anno prima ci aveva provato Braida col Milan, senza successo), la Roma però partì al contrattacco e dopo un’estenuante trattativa riuscì a strapparlo alla concorrenza, col presidente Dino Viola in persona che investì 300 milioni di lire e due ragazzi (Placidi e Cavezzi). Francesco veniva da una famiglia di fede giallorossa e questo forse agevolò la trattativa, quasi un segno del destino pensando a ciò che gli avrebbe riservato il futuro. A soli 16 anni sarebbe arrivata per lui l’ora di mettere piede in campo: Vujadin Boskov lo schierò nel finale di un Brescia-Roma 0-2 che ancora oggi è annoverato alla stregua di un oracolo per ogni tifoso romanista. Del Totti calciatore da quel giorno s’è detto e s’è scritto tanto: il primo gol contro il Foggia nel settembre 1994, la gestione sapiente di Mazzone, i contrasti con Carlos Bianchi, il feeling con Zeman e la piena maturazione con Capello, quando all’apice della carriera riuscì a riportare a Roma uno scudetto che mancava da 18 anni (e da allora nessuno ha più visto). L’emblema del giocatore simbolo di una città contro le grandi potenze del Nord: dieci anni dopo Maradona, l’Italia del calcio aveva trovato un altro eroe nazional popolare che aveva rinunciato ai soldi e al fascino delle società più titolate del Bel Paese. Totti divenne così un modello da inseguire anche per i più giovani, che vedevano in lui la realizzazione dei loro sogni. Il dualismo con Del Piero divenne argomento da tavolo, con le staffette in nazionale a renderlo ancor più dilagante e incalzante.

L’UOMO, PIÙ GRANDE ANCHE DEL CALCIATORE

La grandezza di Totti risiede anche nella sua volontà di non voler vivere mai sopra le righe. È uno dei pochi calciatori ad aver trovato stabilità grazie al matrimonio con un personaggio della tv (Ilary Blasi, romana doc come lui), storia divenuta di pubblico dominio grazie a un’esultanza sfrenata in un derby da leggenda (5-1 per la Roma e quel “6 unica” impresso sulla maglia). È uno dei pochi ad aver rinunciato ai tanti milioni che Real Madrid e Milan gli offrivano per sottrarlo alla corte capitolina. Ha avuto un solo amore all’infuori della Roma, quella maglia Azzurra indossata per 58 volte passando dalla beffa di Euro 2000 all’anonima spedizione del mondiale 2002 conclusa con l’espulsione rifilatagli da Byron Moreno, fino alla gioia più grande, cioè col titolo di campione del mondo nella notte di Berlino 2006, dopo un mondiale ripreso per i capelli (tre mesi prima s’infortunò alla caviglia in un Roma-Empoli) e segnato a vita da quella geniale inquadratura in stile western prima di calciare il rigore contro l’Australia col quale regalò la qualificazione ai quarti a un’Italia in grossa difficoltà. Più dei titoli conquistati, Totti però ha saputo vincere nei cuori della gente. Perché ha sempre dato l’impressione di essere il figlio che tutte le mamme avrebbero voluto, e forse anche le suocere. Semplice e genuino, ilare anche nella sua spontaneità, ma capace anche di mostrarsi duro e mai banale quando il copione lo richiedeva. Non ci fosse stato Spalletti, avrebbe probabilmente chiuso ancora più in gloria. Oggi, a 45 anni, è un uomo felice e pienamente realizzato: in attesa di rientrare a casa, cioè nella Roma dei Friedkin, si gode la famiglia (tre figli e un cane) e l’amore della sua gente. Anche se questo è forse il compleanno più triste ripensando che è il primo senza l’adorato papà Enzo, scomparso lo scorso novembre. Auguri, Francé. E 100 (ancora) di questi giorni.

(Credits: Getty Images)

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